Le tessere del mosaico combaciano: il Napoli ricuce lo strappo con se stesso e la propria gente. Sembrava già tutto apparecchiato: il successo sul Braga, l’avvio della seconda fase Champions, il ritrovato feeling col campo e i tifosi e la potenziale forza d’urto contro la difesa di ferro di Ranieri. E, invece, al Maradona stava per succedere quello che non ti aspetti: il Napoli, ancora una volta, non è né cinico, né spietato, ma tenero e ingenuo, tanto da rischiare non solo di non vincere, addirittura di subire i ritorni del Cagliari. Ma la qualità ha la forza di dividere il meglio dalla buona volontà, come quella di Pavoletti e compagnia. E prima Osimhen e poiKvaratskhelia rimettono in ordine i conti con la storia recente, o meglio con quella di Napoli-Cagliari.
Già, questo gol e questa partita riguardano pure la firma del rinnovo di Osi. La parola chiave non è scritta nel contratto. Perché certo è una questione di soldi, di status, di potenzialità. Un gioco delle parti in cui ognuno ha il suo ruolo definito e il finale è prevedibile. Ma Victor Osimhen in questo momento è la personificazione del Napoli e lo sarà a lungo. Le premesse e le promesse sono queste. E con lui l’identità è tutto.
Le firme arriveranno tra fine dicembre e inizio gennaio, seguendo percorsi piuttosto diversi — più diretto e sentimentale quello col suo pubblico, più tortuoso e ancora non del tutto definito quello col club — e valgono un pezzo di identità del suo Napoli e un pezzo di cuore di un popolo di tifosi, sparsi per l’Italia e il mondo. Nel prezzo da pagare c’è anche questo senso di appartenenza: un valore aggiunto, un elemento chimico che quando reagisce nel modo giusto con il resto, vale più di ogni altra cosa. E in fondo, nel calcio business dove vincere è tutto fuorché scontato, ció non ha prezzo.
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