Siamo pessimisti perché le cose del Napoli vanno male o le cose vanno male perché siamo pessimisti? Con inesorabile cadenza, la squadra con scudetto ci ha messo un’altra volta di fronte al vero dilemma: non se la cava poi così male. Eppure, mentre sembra aver ripreso il controllo di sé stessa e di quanto sa fare - come nel primo tempo contro la Juve -diventa un vero e proprio campionario di errori, paure, timori, incubi.
Il Napoli di Mazzarri resta migliore di quello di Garcia, ma al quarto big match di fila ha mostrato di nuovo la corda: bel ritorno di fiamma con l’Atalanta, dignitosa resistenza a Madrid, sensazione di impotenza con l’Inter, peccati antichi contro la patetica Juve, elogiata per il blocco basso (cinque difensori centrali) che altro non è che il tristissimo catenaccio anni 60.
Mazzarri ha da sciogliere un nodo gordiano, che - almeno per adesso - si rivela difficile da risolvere. Perché la bella cartolina della versione di Spalletti torni in vista - sul metterla a fuoco abbondano i dubbi - occorre attendere che Osimhen torni a essere la minaccia che per ora si intuisce soltanto. Il rimpianto più grosso è poi un irriconoscibile Kvaratskhelia, a parte l’incredibile errore sulla migliore occasione della partita. E ancora . Rrahmani non è più una risorsa, ma un serio problema. Oggi il Napoli è questo. E vale questo.
Mazzarri ha dinanzi a sé settimane “piene” per costruire un meccanismo difensivo difficile da scardinare così facilmente come s’è visto a Torino. Il rimpianto, alla fine, è aver giocato, comunque, ad armi contro Chiesa e compagnia bella. Ed è stato il Napoli a perdere la partita e non la Juve a vincerla.
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