Com’è possibile che quelli che ieri erano gli attuali o futuri fuoriclasse, siano diventati, d’un tratto, così modesti, sonnacchiosi in campo e avviati sul viale del tramonto? È possibile. Ed è il vizio antico delle glorificazioni a effetto. Si vince, e giù a sperticarsi in
paragoni esorbitanti. Ad annunciare chissà quali traguardi. A rallegrare, scrivendo di ipotetici percorsi in campionato o nelle coppe. Gran parte di questo scivolamento lo si deve alla realtà nella quale il Napoli opera e nella quale club e area tecnica sono immersi. Come in politica, il termine liquido può adattarsi a squadre come il Napoli, il cui approccio alla stagione fluttua liberamente nelle diverse e sempre mutevoli identità di genere (calcistico). Da qui il percorso infruttuoso e incostante. Certo, in questo tempo di epidemia e privazioni, regge pure il dibattito sulla “stagione anomala”. Ma sarebbe riduttivo fermarsi qui. Il Napoli possiede un gruppo di buoni calciatori, con un po’ di reduci, ormai esausti, e qualche ottima individualità. Non è un super team. Spesso s’innamora, a torto, di una sua presunta “grandeur” e trasforma i buoni calciatori in bamboline: vedi Verona-Napoli 3-1.
Il calcio è così, profondamente complesso che non si può ridurre tutto a 4-3-3 o 4-2-3-1. I moduli sono solo numeri. I principi, i concetti e il reale valore della rosa sono i veri sistemi di gioco. Ora la colpa di tutto, come da prassi, è dell’allenatore e non dell’organico e delle presunte ambizioni. Se escono voci su esoneri a dimissioni non arrivano dal nulla. Forse Gattuso non sta così simpatico a qualcuno in società. È vero che la sua gestione ha prodotto 11 partite vinte, ma pure sei sconfitte in 18 partite (un terzo). E considerando il panorama generale della serie A, quei ko gridano vendetta. Certo, a Gattuso è sfuggito qualcosa, ed è un peccato: perché la classifica ancora non è compromessa. A patto che il Napoli si senta ogni tanto squadra solida. Magari dando fondo a uno spirito collettivo di buona volontà. Un modo di essere che oggi sembra lontanissimo. Anzi, proprio non s’intravede. È una prassi vista e rivista, che già anni fa inquietava il filosofo Pappagone: “Siamo vincoli o sparpagliati “. Coraggio, il meglio è passato. Ora si è liquidi. Ma domani chissà.
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