Sembravano tutti stanchi l'altro ieri a Milano, il Napoli di più. Perché contro l’Inter ha speso energie soprattutto mentali, di tenuta tattica, di elevata concentrazione. Insomma, una “partita revenge”, una rivincita agonistica dopo la sconfitta mesta contro l’Atalanta. Ed ecco che è riemerso l’atteggiamento da difensore del campionato della ricostruzione e di qualche speranza in più. Perché questa non sarà una stagione impiccata come quella di un anno fa.
Sta portando orgoglio e nerbo, ma anche nevrastenia e aggressività di avversari,e spesso anche arbitri, non sempre proporzionate. A San Siro s’è visto un Napoli capolista pure in difesa e con Lukaku che funziona e convince. Bisogna dirlo: la governance Conte è stata una mandrakata: ottimo per placare la piazza, in grado in breve tempo di rivitalizzare l’ambiente e dare la scossa. E poi quello che mancava in campo: la lettura delle partite, la gestione dello spogliatoio e così via. Come s’è appena visto proprio contro l'Inter.
Che poi tra gli attuali campioni d'Italia e il Napoli, nessuno è riuscito a dimostrarsi il fratello maggiore, è cosa evidente. Tuttavia complici il rigore respinto dal palo a Calhanoglu, la girata alta di Simeone in extremis e il conseguente 1-1, il Napoli conserva il primato; un primato ancora fragile, ma custodito per lo più dalla tattica e dal coraggio.
Uniti da analogie, come la tendenza a sgolarsi in panchina, Simone Inzaghi e Antonio Conte hanno parlato attraverso l'inequivocabile linguaggio delle mosse e contromosse. Non riescono mai a mascherare l'allergia per lo sbilanciamento della loro squadra. La somatizzazione dei recenti scricchiolii difensivi li ha indotti a dare l'assoluta priorità alla ricerca ossessiva della solidità in campo.
Resta, comunque, il domani. Perché la stagione avanza. Formalmente il Napoli rimane ancora in corsa per tutti e due gli obiettivi stagionali (piazzamento per l’Europa e campionato). Che dire? Chi ci crederà, vedrà.
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