La partita degli ultimi sogni finisce con un pareggio che è l’espressione dei limiti del Napoli. Non vale nemmeno il ritorno di Anguissa, perché il centrocampo con lui ha funzionato solo per 45’, troppo poco per avere il diritto di vincere. Spalletti ha sulle spalle un peso: si ritrova una squadra col fiatone, che, stasera, all’ultimo respiro ha lasciato ogni arma alla Roma. Così che i cambi finali (difensore in più per tenersi il vantaggio) hanno fornito l’effetto opposto. Il Napoli s’è fatto prendere a pallonate, ma a difesa di cosa? Di uno striminzito 1-0, per di più figlio di un calcio piazzato (penalty)? Già, la squadra che si vantava di effettuare più tiri verso la porta opposta e segnare qualche gol in più, da qualche settimana denuncia la totale afasia d’attacco su azione. Realizza poco e incassa parecchio: nelle ultime sette partite, tolti i rigori, la media è di una rete a match e più di un gol al passivo. Lo si è spesso visto rinchiuso e sfinito nel proprio vulnerabile fortino.
Qual è la sintesi? Beh, è semplice, ancorché irritante per qualcuno. Il Napoli non ha il potenziale per puntare allo scudetto e del resto non ha mai annunciato di aver costruito una squadra per vincerlo. Se, ogni tanto, arriva vicino e non ce la fa, è la plastica dimostrazione che s’è attrezzato per altro: per la zona Champions, unico obiettivo dichiarato dal club. E se poi Spalletti un po’ di volte s’è detto possibilista di centrare il traguardo massimo. Beh, che dire? È andato oltre. Così come è successo con la frase pronunciata a fine partita su Adl (mi rimprovera per certi cambi e vorrebbe che qualcuno non venisse mai sostituito), perché o è stata una battuta oppure un velo di ruggine è calato su presidente e allenatore.
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