Qualcosa di preoccupante è comparso nell’anima di questo Napoli, diventato scolastico, prevedibile, spesso annoiato. Il pari col Genoa non sana l’anemia della classifica. Oltre a complicare l’accesso all’Europa, anche dalla porta più striminzita (Europa league e altro), racconta di un fenomeno Napoli (quello dell’anno di grazia: detto dello descudetto) ormai esauritosi in tutte le sue forme. Già, perché ora non c’è più nulla da riutilizzare, inutile aprire dibattiti su altrettanti inutili moduli, su deludenti prestazione dei singoli. Termina qui il sintetico cahiers de delonces e bisogna passare ad altro. Ora occorre trascinare il dolore verso la rigenerazione. Il Napoli ha da recuperare le proprie certezze: certo, non è una squadra di altissimo rango, ma è composta da un coacervo di buone individualità e discreta tecnica. Occorre affiancare a tutto ciò l’indispensabile ferocia agonistica di un tempo recente. Tuttavia è anche il tempo di ristabilire i ruoli, cominciando dal management (proprietario presidente compreso) curi con la necessaria fermezza le risorse umane. Innanzitutto il gruppo squadra, qui l’impegno deve essere totale par tutti, per chi resta e per chi andrà via. Mai più il Napoli ai piedi di qualcuno (vero Osimhen?), ma ognuno obbligato ad essere tale, ovvero un professionista con una missione da compiere: recuperare la propria dignità e quella del Napoli.
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