Povero Napoli, giù nel profondo di un incubo, una squadra-non squadra che si raggomitola nella propria inefficienza. Forse è pure meglio che il Frosinone ne abbia evidenziato le inutili speranze e i formidabili paradossi. Come quelle vuote illusioni di giornata… magari si potrà sempre tornare in Champions, chissà che l’Europa League….
Ecco perché è stato meglio far scoppiare le contraddizioni di questo Napoli.
Era ora, poiché da troppo tempo il circo azzurro è entrato in un flebile cono d’ombra che ha tenuto in gran parte nascosta la sua crisi. Che, invece, è vasta e profonda.
Una crisi che dipende soprattutto in misura decisiva da un fattore: l’inadeguatezza di un ambiente che ha difficoltà a sentirsi normale e vincere nella propria normalità. Il Napoli come Napoli, città e struttura calcio incapaci d’affacciarsi sulla soglia di una nuova epoca. La questione è assai delicata, in quanto un indistruttibile frullatore di progresso agita questi due mondi. Ma torniamo alla squadra che prende due gol a partita - vedi oggi: Napoli-Frosinone 2-2 - e che allontana ogni piccola svolta dopo ogni vittoria. Il Napoli in frantumi gioca senza volontà, è scolastico, errori e amnesie dovunque: in attacco, in difesa e a centrocampo. Organico fragile, si perde anche quando c’è poco da impegnarsi. Che peccato! Se solo desse fondo alle proprie capacità. Calzona certo non poteva cambiare il Napoli, impresa irraggiungibile, quasi da Nobel del calcio. Eppure è accaduto il contrario: la fase difensiva è peggiorata nettamente. Come l’appeal per la squadra semplice e vincente, ora seppellita dai fischi e dalla rabbia pacifica dei tifosi. Stanchi di un peggioramento che non passa mai e che rappresenta il legame spezzato tra il Napoli e la sua gente. È per questo che il viaggio nel pasticcio napoletano rappresenta soprattutto la fine di un ciclo.
toni iavarone
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