La rivoluzione abortita

Garcia, Mazzarri e Calzona lo avevano intuito e vissuto sulla propria pelle, ora incubi del Napoli sono diventati un precipizio anche per Conte. Verona racconta di una  squadra demolita e senza più capo nè coda. Il Napoli è sempre quello del dopo scudetto: sfiancato, depresso, tecnicamente imbarazzante. Conte l’aveva capito sin da subito, ma credeva in iuna rivoluzione divenuta rapidamente impossibile. Quel lodevole Napoli di Spalletti da più di un anno non è più nulla. Difficile pure disfarsi di una decina di quei calciatori, ormai ai margini del mercato. De Laurentiis, abile manovratore di campagne acquisti e cessioni è finito mani e piedi in un garbuglio che potrebbe annunciare una catastrofe. Da mesi tutto ciò ha un nome: si chiama “caso Osimhen”, una Siria pesante, un macigno dai toni gattopardeschi: sembrava che con la sua cessione tutto dovesse cambiare nel Napoli, ma tutto resta com’’è. Senza i milioni del suo trasferimento c’è ben poco da rivoluzionare. Pochi o nessuno si svenano per il dinoccolato centravanti nigeriano. Il pasticcio Osimhen tiene il Napoli in ostaggio. È un bomber  al ribasso e non trova sistemazioni. Non è tutto. Poi c’è il dilemma del suo sostituto con il maturo Lukaku che bussa alla porta del Napoli come se fosse la sua grotta dei miracoli, Povero Conte, visto il Napoli attuale, si sente l’allenatore dell’evanescenza calcistica. Non ce ne voglia il bravo Antonio: ma più passa il tempo — e ormai siamo quasi alla boa dei primi due anni — e meno tempo c’è per ricostruire questo Napoli che si scucì lo scudetto di dosso

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