Difficilmente rivedremo il Napoli spento del triste avvio del campionato con l’uscita dalla Champions, difficilmente rivedremo il Napoli scintillante dei suoi primi giorni del 2015. In questa lunga via di mezzo è l’eterna identità di una squadra che pareva perduta, e non lo era, e poi pareva quella di prima, e non lo è. Viaggia sull'onda, a volte la trascina la forza dei marosi, altre volte annaspa nella bassa marea. «Ci manca continuità, ci serve un salto di qualità» dicono da tempo quelli del Napoli, con Benitez in prima fila che quell'onda è chiamato a governare. A Torino gli azzurri hanno giocato malissimo, perché i fuoriclasse del Napoli pare non amino le partite complesse. Perché salto di qualità significa eliminare le disattenzioni e i vuoti di campo, come quella faglia che separa Higuain, isolato in attacco, dal resto della squadra. Il Napoli a centrocampo non crea, al più distrugge e poi soccombe. In questa attesa di risposte precise e più complete, a Torino la “cuadrilla” di Benitez ha smarrito pure una robustezza difensiva e una quadratura tattica, che De Guzman prima e Gabiaddini (eternamente parcheggiato in panchina sino ai ravvedimento operosi) avevano concesso. Perché non schierarlo dal primo minuto al posto di Callejon, che alterna giornate lucenti (poche) a prestazioni opache (tante)? Come se la polvere che ogni tanto copre la squadra tornasse periodicamente a velare soprattutto lui. Chissà forse il Napoli, confidava nella sua caratteristica migliore: uscire alla distanza. Purtroppo, una partita come questa, molto tattica l’ha visto solo cedere metri e risultato. Insomma, s’è consumata la resa di un Napoli apparso sazio dai fatui banchetti in Europa League. Tanto satollo da concedere al Torino di giocare con un tempo (il primo) di vantaggio. Già, perché come al solito i partenopei non c’erano. Spenti e svogliati, così come spesso succede nei loro giorni peggiori.