La peggiore domenica del Napoli si coniuga con García, diventato ormai l’incubo nel cassetto. Tutti sono convinti che la sua imminente cacciata cambierà radicalmente i termini dell’equazione campionato-Champions e quant’altro. García sa che sta per perdere, oltre al Napoli, l’occasione per afferrare di nuovo, seppur per un lembo, i tornei più qualificanti, quelli europei. Della serie perdere capra e cavoli. De Laurentiis, invece, sa che avrebbe mani libere contro un avvio di stagione deludente e pessimo. Infine i propagandisti dell’esonero dicono che senza García non ci sarebbero più giornate come questa, perché tutte le altre continuerebbero. E, anzi, se ne aggiungerebbe qualcuna.
La domanda che dobbiamo porci, però, è come sia possibile che ciò che accade nel cortile di casa dipenda ancora così totalmente dalle contingenze e dalle bizzarrie del calcio ? Il cui claim è sempre stato: cambiare uno per non mutare quasi nulla. Già, perché il Napoli (società) resterà com’è: dirigista sempre. I calciatori indolenti e pigri saranno così e così sia. E le grandi stagioni saranno ancora irripetibili.
García ha una sola grande colpa: non ha capito l’anima della Napoli del calcio, che è intensa, passionale, anche impulsiva, se necessario. Al di là degli errori del campo, il francese non vive l’atmosfera che si crea all’interno di questo mondo, dei riferimenti che accompagnano le scelte, del comune sentire che tiene insieme un pianeta così difforme, qual è il Napoli.
E oggi, dinanzi a tutto questo, cosa resta? La squadra è di nuovo al buio. La luce riaccesa giusto una settimana fa s’è subito spenta. Il blackout è di nuovo completo, con tutto l’apparato napoletano che brancola alla ricerca di sé stesso. Contro l’Empoli sarebbe potuta finire con un pareggio, ma che avrebbe pesato come una sconfitta, poi arrivata in modalità thriller: all’ultimo minuto, in bilico. Come questo Napoli sospeso tra il meglio e il peggio.
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