Figli di un mercato sbagliato

Questo è “Son Gennaro” (titolo Corriere dello Sport) e non San Gennaro Gattuso. Già, ci vorrebbe un prodigio per tirar fuori, in un amen, questo modesto Napoli, al di là degli schemi e delle occasioni create. È una squadra che gli nevica dentro, agghiacciata dalle settimane di indolenze, di sommosse, sanzioni e pene e tutto ciò che potrebbe vedere stramazzare anche un branco di elefanti. Si va avanti così. Senza equilibrio, sbadati, abituati ormai a pareggi e sconfitte. E questo diventa col passare dei giorni il primo male oscuro del   Napoli. E ciò avviene  in molti singoli, posseduti  da mesi di sfiancante incertezza, figlia della precaria vita dell’azienda Napoli. Gattuso c’entra poco o nulla - almeno sino adesso -  e nulla per nulla ci sarebbe entrato in caso di vittoria e trionfo. È una compagine ricca solo di difetti strutturali: ha un solo centrocampista di fatto (Allan), il resto si occupa di ben altro: mezzali e seconde punte. Gli manca un attaccante da trenta gol. A presidiare la fascia sinistra non resta che Mario Rui e niente più.  Insomma, qui si procede per tentativi e basta.
Togli Allan e non hai filtro. Sposti Zielinski e rimani senza inserimenti in area. Lo tiri da qui, il povero Napoli, e ti resta scoperto di la. A dispetto del mercato da dieci e lode e dell’uno vale uno (“Hamsik via? C’è già il sostituto, Zielinski”, ricordate  Ancelotti?). È un momento di forte crisi per il Napoli. Servirebbero unità di intenti, lavoro e meno polemiche. 
Come per lo stadio, che è come la città, qui cadono alberi e cornicioni, lì vacillano le tettoie della copertura. Quest’estate, su come impiegare i fondi regionali per le Universiadi, non s’è dibattuto sulla tenuta di tante vecchie e logore componenti (anno 1990), ma sul colore dei sediolini. Al
di la dei nove milioni spesi per un fugace patchwork, il grande tema resta la totale messa in sicurezza dell’impianto e quindi la ristrutturazione vera dello stadio.
Si è perso il conto di annunci, liti, insulti, segnali, ultimatum, plateali rappacificazioni. L'accordo sul San Paolo si é più volte avvicinato e si é allontanato nella più napoletana teatralità. L’eterno rinvio è la metafora costante di questo gioco che impegna il Napoli e il Comune da anni. Può sembrare un paradosso, ma sia il presidente che il sindaco non possono fare altro che rimandare, perché entrambi hanno preferito una trattativa fondata sui scorbutici rapporti personali, non sul rigore
delle procedure. Ora a che punto siamo? Nel mezzo del labirinto dell’imperfezione, come questo Napoli che va in campo senza un senso di calcio.

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