Il sorriso di Benitez a fine partita ha l’aspetto del Napoli che va in campo. Irride. A se stesso e a chi ne celebrava il cupio dissolvi, dopo la sciagurata striscia di partite in campionato. Invece, almeno in Europa, il passo s’è fatto man mano più deciso, sino a diventare una cavalcata trionfale. Tant’è che ora gli azzurri puntano forte, col petto gonfio di orgoglio lanciano le loro fiches sulle ultime puntate: la finale di Varsavia e poi la coppa. Ne hanno ben donde, perché la storia è con loro – in semifinale, traguardo ormai sepolto da 26 anni di insuccessi continentali -, e poi ancora perché superare e sommergere il Wolfsburg di gol vale quasi quanto un badge per la gloria. Per le cronache sportive non resta che aspettare il sorteggio e conoscere gli avversari da venire, tuttavia la realtà ci offre un Napoli che, nonostante un po’ di patimenti di ieri, ha tutti i documenti timbrati e in regola per correre incontro all’Euroleague. Ora c’è da capire qual è il merito del Napoli in questo calcio globale che sembra aver abiurato un bel po’ della propria storia. Moduli inglesi, spagnoli o vattelapesca. Beh, quello di Benitez, invece, è strettamente legato alle nostre tradizioni. Sì, perché non conta il numero di attaccanti che mette in campo, bensì il metodo di gioco: contropiede e otto giocatori dietro la linea del pallone. Ci spiace per i modernisti professionali e/o per i damerini della tattica, ma questo Napoli diventa d’attacco e d’avventura solo e soprattutto quando sfoggia le ripartenze e le verticalizzazioni più elementari e feroci. Così ha lasciato stupefatto il Wolfsburg, con quegli scambi rapidissimi e perfetti. Con i napoletani a spaccare in due i bastioni tedeschi, come quei coltelli di ceramica che tagliano solo a guardarli.