Non è la pirateria ad uccidere il calcio

Ancora una volta, il calcio italiano si trova ad affrontare una situazione che lascia l’amaro in bocca. La decisione di chiudere il settore ospiti nel big match tra Juventus e Napoli, ancora non comunicata ufficialmente a meno di 24 ore dall’evento, rappresenta un grave fallimento, non solo per il sistema sportivo, ma per l’intera gestione dell’ordine pubblico. Dopo i recenti disordini legati alla partita tra Cagliari e Napoli, le istituzioni hanno optato per una scelta che ha penalizzato migliaia di tifosi, ignari e incolpevoli, già pronti a partire con biglietti, trasporti e hotel pagati.

Una decisione che poteva e doveva essere presa con anticipo, e che invece corre il rischio di essere comunicata all’ultimo momento, travolgendo chi aveva organizzato il proprio viaggio. Famiglie, lavoratori e appassionati che, per seguire la propria squadra del cuore, avevano pianificato spostamenti, prenotazioni, ferie e tutto ciò che ruota intorno all’organizzazione di un evento tanto atteso. Eppure, questi sacrifici sono stati vanificati da un provvedimento dell'ultimo minuto, che si configura come una sconfitta, non solo per il calcio, ma per l’intero Paese.

L’ordine pubblico, è vero, deve essere sempre una priorità. Tuttavia, la prevenzione e la pianificazione dovrebbero essere gli strumenti fondamentali per garantire la sicurezza, non la repressione a posteriori che colpisce l’intera tifoseria. Se è giusto agire contro i responsabili di episodi violenti, è inaccettabile che migliaia di persone vengano punite per le azioni di pochi. Si parla sempre di responsabilità collettiva, ma in questo caso si è scelto di sacrificare i diritti di molti, invece di lavorare su una gestione efficace e tempestiva.

È una riflessione amara: se le autorità non sono in grado di garantire la sicurezza dentro e fuori dagli stadi, cosa ci dice questo sulla capacità del sistema di prevenire tali episodi? Se bombe carta, fumogeni e petardi continuano a entrare negli impianti sportivi, la responsabilità non può ricadere solo sui tifosi. Le autorità hanno il dovere di garantire che eventi di questa portata si svolgano in sicurezza, senza che ciò significhi limitare i diritti dei cittadini che si comportano in modo corretto.

Il danno arrecato a chi aveva già organizzato il viaggio è enorme. Non si tratta solo dei soldi spesi per biglietti, trasporti e alberghi, ma di un danno emotivo e morale. Immaginate di aver programmato tutto con largo anticipo: ferie dal lavoro, magari un viaggio in famiglia, o semplicemente una giornata dedicata alla propria passione calcistica. Poi, all’improvviso, vi viene detto che tutto è cancellato, senza alcuna colpa. Questo è ciò che è successo a migliaia di tifosi del Napoli, penalizzati da una gestione tardiva e inefficiente.

Questa situazione non riguarda solo il mondo del calcio, ma si inserisce in un contesto più ampio di disorganizzazione e mancanza di rispetto per i cittadini. Le strutture e le forze dell’ordine, che dovrebbero garantire il regolare svolgimento degli eventi sportivi, sembrano incapaci di prevenire gli episodi di violenza, preferendo bloccare interi settori piuttosto che agire direttamente contro i facinorosi. È una scorciatoia che paga chi non ha colpe.

Spesso si guarda al modello inglese come un esempio da seguire per quanto riguarda la gestione della sicurezza negli stadi. Gli steward, opportunamente formati e supportati dalle forze dell’ordine, svolgono un ruolo centrale nel mantenere l’ordine, con poteri ben definiti e risorse adeguate. In Italia, invece, ci si affida a misure drastiche e punitive, che non risolvono il problema alla radice e che lasciano sempre la sensazione che, alla fine, siano i tifosi a pagare per l’incapacità di pochi.

Non è utopistico pensare a una gestione migliore, che tuteli sia la sicurezza che i diritti delle persone. Il miglioramento passa anche attraverso investimenti su chi garantisce l’ordine pubblico, dagli steward ai poliziotti, affinché abbiano strumenti e risorse per svolgere il proprio lavoro in modo efficace.

Il calcio è, e dovrebbe essere, un momento di festa, di aggregazione e passione. La decisione di chiudere il settore ospiti a poche ore dalla partita tra Juventus e Napoli è l’ennesima dimostrazione di un sistema che non funziona. Invece di colpire pochi responsabili, si scelgono provvedimenti che ledono i diritti di migliaia di persone. È ora di cambiare rotta, di investire nella prevenzione, nella formazione e nel rispetto dei tifosi.

In questo caso, le società calcistiche potrebbero fare molto di più per tutelare i loro sostenitori, collaborando con le autorità per trovare soluzioni più giuste e meno penalizzanti. Il calcio italiano, se vuole davvero migliorare, deve iniziare a pensare in modo diverso, mettendo al centro la sicurezza e i diritti dei tifosi, senza più decisioni drastiche dell'ultimo minuto che rischiano solo di allontanare la gente dagli stadi.

È il momento di prendere esempio da chi, all’estero, ha saputo risolvere situazioni simili con politiche più lungimiranti. Non possiamo più permetterci che eventi come quello di Torino diventino la norma, perché questo rappresenterebbe il definitivo fallimento di un sistema che, invece di evolversi, continua a girare su sé stesso, in un ciclo di repressione e frustrazione.

La chiusura del settore ospiti a un giorno dalla partita è una sconfitta per tutti.

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