Il Napoli di Sarri ha già una vocazione: restare con i piedi per terra

Sarà una scelta, una condizione o una necessità, ma l’unica pagina scritta di questa ristrutturazione dell’azienda Napoli ha un capitolo che si intitola: ritorno alle origini. Sì, perché l’opzione Maurizio Sarri riporta alla mente la Mazzarri band, quella d’attacco e d’avventura che dentro di sé aveva, soprattutto, tanto sangue italiano. Quattro/cinque undicesimi ne costituivano l’ossatura fondamentale. Ora non stiamo qui a gingillare le nostre idee su quanto fosse bello e bravo il momento che fu. Tuttavia bisogna dare atto a quegli anni di essere stati i migliori (per risultati sportivi e finanziari, per il crescente numero di tifosi etc.) nella storicamente breve stagione di De Laurentiis. Questo per discutere insieme su valori che sono la vocazione territoriale e su ciò che è possibile e ciò che s’è rivelato un artificio dialettico o di marketing. Vale la pena, per il Napoli, ricordare che la sua dimensione è costituita dalla grande forza partecipativa a un progetto: crescere insieme e puntare sul radicamento. Un’idea che s’era rivelata vincente nella guida Marino-Reja-De Laurentiis e Mazzarri-De Laurentiis, ma che Adl ha distrattamente lasciato nel retrobottega della sua pur originale inventiva. Detto in soldoni: o si ha la forza di ingaggiare i grandi astri del calcio oppure, a parità di una qualità professionale medio alta, è sempre meglio avere più italiani nel gruppo. Ciò per l’esperienza e la consapevolezza di un’identità che nel Napoli multilingue e babelico non è stato facile trovare. L’arrivo di Sarri cambia pure la comunicazione, più vicina alla partecipazione diretta che al mondo dei social, pur se questi restano un efficace strumento di aggregazione. Meno cinguettii, più dialogo e più contatto con la gente del Napoli. La gestione Sarri, insomma, sarà all’opposto di quella di Benitez, così come questa era l’esatto contrario dell’esperienza legata a Mazzarri.  Più campo, più razionalità e meno filosofare. C’è chi sostiene che i cambi di rotta aureliani non producano che un eterno ritorno alla casella di partenza, quasi come in uno straziante Monopoli. Una tesi legittima ma confutabile se l’azienda Napoli riuscisse a ottimizzare il volersi mettere in discussione ogni tot numero di anni. Si è generalmente convinti che Sarri sia un allenatore normale, che saprà correggere in corsa gli assetti del suo Napoli, non si nasconderà dietro vaniloqui tattici prima di infilare un difensore o un centrocampista a tutela del risultato. Ma il Napoli fino a che punto potrà e saprà proteggere un allenatore che debutta su una grande piazza? Il primo rebus da risolvere non è Sarri, bensì la società.

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