Pratico, senza fronzoli, il Napoli ora sa soffrire; c’è la mano di Mazzarri, come in quel suo Napoli che marcó la svolta della breve era De Laurentiis: un trofeo (Coppa Italia) e la grande Europa. Non più il Napolicchio reduce dalla serie C, tirato su dalle mani saggie di Eddy Reja. Ben tornato Walter. Forse la stiamo buttando troppo sul sentimentale. Affetti, relazioni, grandi ritorni e relativa nostalgia. Tutto giusto, per carità. Ma a patto di non perdere di vista la «big picture», il contesto in cui avvengono le cose. E il contesto, quando si parla del Napoli, è una spietata lotta di contrapposizioni. C’era tanto da comprendere nella partita di Bergamo: la possibilità di trovare una strada giusta per uscire dalla crisetta autunnale, l’avversario (l’Atalanta) tra i più temibili in questa parte del campionato. E poi la tenuta mentale di una squadra spesso travolta dalle proprie incertezze (poca ferocia agonistica, una certa indolenza, ubriacature tattiche nate da cambi sbagliati etc.).
Ora dire che sia tornato il Napoli da tutti sognato è ovviamente presto.
C’è, tuttavia, una prima analisi di metodo e di tenuta che va fatta. Linee strette, animo in campo: il Napoli ha comandato e ha saputo soffrire. Ha avuto la fortuna che accompagna chi vuole rialzarsi, ma stando sempre in partita. Non resta che stare calmi e andare avanti. E che questo possa essere considerato come il giorno in cui tutto ricominciò.
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