All'ultimo stadio

C’è sempre un mistero napoletano che avvolge le grandi questioni cittadine: lo stadio San Paolo e la sua ristrutturazione costituiscono, in ordine di tempo, l’ultimo esempio. Il Napoli avanza da tempo proposte e manifestazioni d’interesse sull’impianto; l’amministrazione comunale, da altrettanto tempo, si dice pronta a recepire progetti e idee. Però - c’è sempre un però dietro le cose di questa nostra città -, De Laurentiis e De Magistris sul caso in questione s’attraggono e respingono con la velocità d’un magnete. Eppure l’affaire San Paolo sarebbe un toccasana per tutti: per la cittadinanza, per i tifosi, per il club e la giunta in carica. Luogo di notevole valenza simbolica, lo stadio del Napoli è uno scrigno malridotto, ma colmo d'ogni potenziale ricchezza: sold out spesso e volentieri, è nel quartiere di Fuorigrotta (dal centro ci si arriva in 16 minuti di metropolitana), spazi e volumetrie orizzontali e verticali tutte da scoprire. Insomma, una gestione per decenni dell’impianto sembrerebbe fatta apposta per far lievitare il fatturato del club più rigoroso e virtuoso d'Italia. Il Napoli è un modello economico: fatturato strutturale tra i 120 e i 130 milioni, 60 dai diritti televisivi; il resto è merchandising (25 milioni) e sponsor; stipendi che incidono per il 55 per cento sul complessivo. L'ultimo utile d'esercizio, 20,1 milioni di euro, è stato uno dei migliori. E dal 2005, che il Napoli non conosce la parola deficit. Gli manca, però, l’ultimo stadio. Ovvero il balzo economico decisivo per diventare un top club internazionale.
Anche se poi in campo non vanno i commercialisti, e neppure i contabili, a nessuno sfuggiranno gli aspetti sociali e finanziari di un percorso che porterebbe il club ad essere il “padrone” delle mura di Fuorigrotta. Se in tre quarti d'Italia, il calcio agonizza tra debiti, spettacoli mediocri, stadi semivuoti, il Napoli viaggia (pur con la crisi economica e con quella, a cavallo di ottobre e dicembre scorso, per gli scarsi risultati) con una media di 35mila spettatori a partita, una pressione mediatica normale, niente oligarchi o sceicchi, e una crescita economica ancora da percorrere. Facendo una valutazione più ampia: se non hai uno stadio che produce almeno 50 milioni di fatturato non puoi competere né per lo scudetto né in Europa, e nemmeno con le squadre di fascia medio-alta. Il Napoli dal San Paolo, con la Champions, incassa circa 15 milioni: sono cifre improponibili a livello europeo, ed è lì che bisogna capire qual sono le strategie di De Laurentiis. Veniamo al Comune. È la controparte, tuttavia si tratta di un “avversario” sui generis: perché dall’affidamento pluriennale della struttura a un privato ne avrebbe solo da guadagnare. Innanzitutto azzererebbe il passivo legato ai costi vivi. Ma c’è di più: una ristrutturazione del San Paolo, legata anche ad altri investimenti fatti nella zona di Fuorigrotta tra  zoo, Edenlandia e Mostra d'Oltremare, potrebbe permettere uno step decisivo per il rilancio economico e urbanistico dell’area e della città, in un mercato ideale come quello del “tempo libero”. È chiaro che progetti del genere sono complicati, e a Napoli anche di più. Resta il fatto che una delle poche opere che gioverebbe a tutti stagna in una nebulosa. Quasi non ci si rendesse conto dell’importanza di una simile realizzazione. Se si guardasse solo attraverso la lente del calcio, si capirebbe che un miracolo sportivo (scudetto o coppa europea) può accadere ogni tanto. Progettare un traguardo d‘eccellenza è, invece, assai meno raro. Un esempio? In Champions, ai quarti, arrivano sempre società con fatturati almeno di 200 milioni se non di 300. Il Napoli per accostarsi a quel traguardo dovrebbe avvicinare quelle cifre, ma per raggiungere l’obiettivo c’è necessità d’investimenti. Cominciando proprio dallo stadio di cosiddetta proprietà. 
 
 
 

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