Nessuno ha la sfera di cristallo ma, a occhio e croce, se aumentassero le probabilità di un nuovo patto Adl-Spalletti, la strada che entrambi dovrebbero intraprendere, potrebbe condurre verso seri progetti e continuare ad alimentare questo embrionale ciclo vincente. Da un lato emergerebbe ancor più De Laurentiis, ovvero la proprietà, ovvero l’imprenditore visionario, ovvero ancora: la capacità di immaginare la soluzione lì dove gli altri vedono solo il problema. Dall’altro la concretezza di Spalletti, il facilitatore tecnico, in grado nel suo lavoro - e magari meno nella comunicazione -, di uscire dalla generalità e andare alla radice della costruzione di una squadra altamente competitiva. Almeno idealmente si tratta di buoni propositi, poi se dalla cena a “L’altro loco”, il ristorante di Diego Nuzzo in via Cappella Vecchia, ci sia già stata una fumata bianca, allora buon per tutti. Certo non è da un menù o da una carta dei vini - per parafrasare Spalletti - che nasce un contratto, tuttavia l’incontro fuori dalle sedi ufficiali, se non altro, potrà aver disteso gli animi.
Poi c’è la sconfitta di Monza, che si disperde nei progetti futuri. Ma il 2-0 incassato dal Napoli lascia comunque segni. Abbastanza per la tiepida delusione. Soprattutto per l’ormai paludata e antistorica formula del calcio. Una squadra, nella fattispecie il Napoli, che vince a mani basse il campionato e con enorme anticipo produce partite inutili per sé, ma non per gli altri. Battere la Spalletti band diventa motivo d’orgoglio. Non solo, ci sono poi le squadre che hanno anche fame di vittorie per potersi salvarsi o puntare all’Europa, tanto da diventare ancora più motivate. Manca, in tutto ciò, il senso di avere definito, da parte dello stesso mondo del calcio, un trionfo dalla portata storica questo del Napoli. Dichiarazioni al vento per poi lasciare scorrere così maldestramente il campionato.
Per isolare il problema conviene partire da tre domande. La prima: come mai le uniche rilevanti riforme, ideate nel basket e in altri sport, incontrano ancora forti resistenze? Perché non creare un meccanismo che muova l’interesse da inizio a fine stagione? Perché i club discutono solo come e a chi vendere i diritti d’immagine?
La risposta è che in Italia ci sono gruppi che temono un rafforzamento politico-sportivo dei club meno blasonati, ma vincenti, perché ciò indebolirebbe i loro poteri di veto su nuovi assetti e sulle decisioni più innovative.
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