Addio Mario, un romanzo d'artista fattosi uomo

Era il papà per definizione. Da anni con garbo, ma di un contraggenio d'altri tempi aveva scelto le quinte. Mario era lì, a osservare figli e nipoti da uno spiraglio del sipario o da una poltroncina in ultima fila. Ha visto il crescendo del suo Sal, il ragazzo prodigio, al quale papà Mario regalò una porzione di scena che egli fece sua. Aveva una manciata di anni Sal, ma aggiunse successo a successo, fatica a riconoscimenti: qualità. E poi Gino, cantante come una volta e sul quale le epoche sembrano immutabili. E poi ancora Francesco, già calciatore provetto e ora manager e impresario musicale. E infine l'altro Francesco, il piccolo, il nipote che pochi mesi fa ha debuttato nello spettacolo di papà Sal e verso il quale il cuore malandrino di nonno Mario batteva forte ed emozionato. Perché é verso i suoi ragazzi, maschi e femmine, Raffaella e Lucia, che Mario e mamma Nina, artefici magici di una dinastia di artisti, hanno sempre rivolto i loro grandi occhi neri, profondi come lo può essere solo chi ha avuto una vita vera, da raccontare. Mario è stato l'equilibrista del suo vissuto, muovendosi come un'acrobata sul suo presente e futuro ha costruito la sua memoria. Garzone, posteggiatore (nel senso di posteggia), cantante senza parte con un sogno così forte da abbattere la misera di quegli anni, Mario è stato un grande artista, ma pure un romanzo fattosi uomo. Era libero e curioso, ironico e saggio. Aveva il dono della leggerezza nella profondità, e della battuta nella serietà. Che cantasse di amori o recitasse in sceneggiata, il tono si riconosceva al volo: ed era una voce ferma e amica. Lo sanno bene i suoi fans, ancora tanti. Schiena dritta, sempre. Di sicuro, non stava con i più forti. Mai sazio, mai contento. Son fatti così gli artisti.
Figlio di Mergellina e del mare che sembra non bagni mai le tue rive, Mario ha costruito il suo mestiere con rispetto del tempo e passione, sfidando la malasorte, crescendo di continuo, ma era già bravissimo da ragazzo, quando cantava per portare a casa un cesto di frutta. Erano i tempi dove mangiare a pranzo e cena era un verbo senza coniugazione. Instancabile, gran consumatore di suole e mai trombone a tavolino, assai generoso con i più giovani, ha interpretato canzoni, nei teatri d'Italia e d'America, dove interruppe il suo futuro ancor più luminoso perché il figlio Gino a Napoli stava perdendo la vista. Tornò a Mergellina, travolto dallo slancio per la sua famiglia e la sua terra, e poi tornò al microfono e sulla tastiera, perché è cosí che si fa. Ha vissuto più in alto delle nostre preoccupazioni, le sue note ora s’intrecciano con quelle di lassù. È lo spartito più bello. Addio Mario.

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